BREVI NOTE SULLA DELIBERA DI G.M. DI CELLOLE N. 47 DEL 19.04.2016

Mag
7
2016
BREVI NOTE SULLA DELIBERA DI G.M.
DI CELLOLE N. 47 DEL 19.04.2016

Diversi balneari e loro organizzazioni territoriali in questi giorni
sono indotti a verificare l’esistenza di percorsi normativi per
mettere in sicurezza le proprie aziende.
Ciò è dovuto al colpevole ritardo dello Stato italiano ad affrontare e
risolvere la questione balneare sorta con l’eliminazione del cd
diritto di insistenza, ex articolo 1, comma 18 della legge 26 febbraio
2010 n. 25, unita alla incertezza sulla sorte della stessa proroga al
2020 disposta ex articolo 34 duodecies della legge 17 dicembre 2012 n.
221 perché sottoposta, da parte di alcuni TAR e del Consiglio di
Stato, all’esame della Corte di Giustizia dell’Unione europea.

In siffatta ricerca di percorsi alternativi finalizzati a sopperire
carenze legislative nazionali vi sono anche alcuni EE.LL. che tentano
di venire incontro alle richieste dei balneari nella consapevolezza
della necessità di tutelare un patrimonio aziendale che costituisce un
elemento di ricchezza dell’intero territorio.
Recentemente anche il Comune di Cellole (CE) con l’atto deliberativo
di G.M. n. 47 del 19.04.2016 ha adottato delle linee guida finalizzate
a incentivare gli investimenti nel settore dando agli imprenditori
proponenti maggior tempo per ammortizzarli attraverso un differimento
della durata del titolo concessorio.
Con tale atto, fra l’altro, si è rivolta l’attenzione a quanto
contenuto nella Circolare del Ministero delle Infrastrutture,
Direzione Generale per i Porti, dell’ormai lontano 5 maggio 2010
emanata per illustrare gli effetti del Decreto legge 30 dicembre 2009
n. 194 convertito con la legge n. 25\2010.
Preliminarmente è bene precisare che si tratta di un atto
amministrativo che rinvia a quanto disposto dall’articolo 1 comma 253
della legge 27 dicembre 2006 n. 296 che recita “All'articolo 03 del
decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni,
dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, è aggiunto, in fine, il seguente
comma:"4-bis. Ferme restando le disposizioni di cui all'articolo 01,
comma 2, le concessioni di cui al presente articolo possono avere
durata superiore a sei anni e comunque non superiore a venti anni in
ragione dell'entità e della rilevanza economica delle opere da
realizzare e sulla base dei piani di utilizzazione delle aree del
demanio marittimo predisposti dalle regioni".
Per cui, la concessione potrà avere una durata fino a venti anni sulla
base di un programma di investimento.
Da quanto sopra, in particolare, si evidenzia che:
a)	si tratterebbe di una nuova concessione demaniale diversa da quella
di cui si è, eventualmente, titolari (a questo proposito è bene
sottolineare che la sua presentazione potrebbe anche essere
considerata rinunzia a quella posseduta);
b)	la durata sarebbe proporzionale all’ammontare degli investimenti
proposti o anche già effettuati ma non ancora ammortizzati non anche
in riferimento a quelli già effettuati e già ammortizzati o al valore
della propria azienda;

Ma, soprattutto, la circostanza che è opportuno evidenziare e tener
presente è che questa domanda è sottoposta alla procedura di pubblica
evidenza che consiste in quella minima prevista dall’articolo 18 del
D.P.R. 15 febbraio 1952 n. 328 (Regolamento di attuazione al Codice
della Navigazione).
Questa circostanza è il frutto dell’evoluzione giurisprudenziale
(successiva all’emanazione della Circolare ministeriale) in
particolare quella della Corte costituzionale, sulle varie leggi
regionali che, nel corso del 2010, hanno cercato di assicurare una
diversa durata dei titoli concessori in essere.
A tal proposito giova ricordare la sentenza della Corte costituzionale
n. 180 del 20 maggio 2010 (quindi di qualche giorno successivo alla
Circolare suddetta) con la quale la Consulta ha  dichiarato
“l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione
Emilia-Romagna 23 luglio 2009, n. 8 (Modifica………….in attuazione della
legge 27 dicembre 2006, n. 296), nella parte in cui ha inserito nella
legge regionale n. 9 del 2002 l’art. 8-bis, comma 2”.
Come si ricorderà, con tale norma, la Regione Emilia Romagna aveva
disposto che “i titolari di concessioni demaniali marittime di cui al
d.l. 5 ottobre 1993, n. 400 (Disposizioni per la determinazione dei
canoni relativi a concessioni demaniali marittime), convertito, con
modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, potranno chiedere,
entro il 31 dicembre 2009, la proroga della durata della concessione
fino ad un massimo di venti anni a partire dalla data di rilascio”.
Secondo la Corte Costituzionale “la norma regionale impugnata viola
l’art. 117, primo comma, Cost., per contrasto con i vincoli derivanti
dall’ordinamento comunitario in tema di diritto di stabilimento e di
tutela della concorrenza”.
Questa sentenza è stata seguita dalle altre analoghe della stessa
Corte (n. 233 del 1° luglio 2010; n. 340 del 26 novembre 2010 e n. 213
del 18 luglio 2011) che hanno abrogato norme identiche a quella
dell’Emilia Romagna emanate da altre Regioni (legge regionale Toscana
23 dicembre 2009, n. 77; legge regionale Marche 11 febbraio 2010, n.
7; legge regionale Veneto 16 febbraio 2010, n. 13; legge regionale
Abruzzo 18 febbraio 2010, n. 3).
Alla luce di questo orientamento giurisprudenziale consolidato e ormai
pacifico, qualsiasi domanda avente per oggetto un’area demaniale
marittima dovrà essere sottoposta alla pubblica evidenza per
permettere ad altri operatori di partecipare alla procedura
concorsuale.
Da tutto quanto sopra esposto si evince che:
a)	la presentazione della domanda per avere una diversa durata
potrebbe essere considerata rinuncia alla concessione di cui si è
titolari;
b)	l’attivazione della procedura per il suo rilascio una volta
intrapresa, non rientra più nella disponibilità del proponente;
c)	la procedura dovrà comportare la pubblica evidenza nelle forme
dell’art. 18 del Regolamento del codice della navigazione;
d)	l’assenza di posizioni di vantaggio del titolare della concessione
in essere nella eventuale selezione competitiva.

Si tratta, in conclusione e a nostro modesto parere, di una soluzione
assai rischiosa con nessuna garanzia di successo per gli attuali
titolari nel caso di concorso con altri proponenti.
Non è previsto, per esempio, alcun indennizzo per la perdita
dell’azienda balneare, nel caso in cui il concessionario proponente
dovesse perdere la concessione in presenza di un eventuale confronto
competitivo con terzi non concessionari.
Per cui l’unica strada possibile al momento rimane quella, perseguita
dalla nostra Organizzazione, di incalzare il Governo e il Parlamento a
dare seguito alle loro assicurazioni emanando una nuova disciplina
della materia che, senza violare l’Ordinamento giuridico comunitario,
assicuri la sopravvivenza della attuali aziende balneari.
In definitiva, per il SIB rimane assolutamente prioritario l'obiettivo
di arrivare ad una norma di revisione organica che tenga conto delle
istanze unitariamente presentate dalle Organizzazioni sindacali e
chiede con forza al Governo di avviare senza indugi la fase di
elaborazione della norma che deve scaturire dal confronto serrato con
le regioni e le Organizzazioni di categoria.
A tal proposito si ricordano gli obbiettivi che persegue la nostra
Organizzazione:
1.	Una diversa più lunga durata delle concessioni demaniali marittime
nel minimo pari almeno a 30 anni  da assicurare, in ossequio ai
principi costituzionali di eguaglianza e parità di trattamento, anche
alle imprese attualmente operanti al fine di salvaguardare la
peculiare caratteristica di gestione familiare della balneazione
italiana attraverso la preminenza del fattore "lavoro" su quello del
"capitale investito";
2.	l’alienazione con diritto di opzione in favore dei concessionari
delle porzioni di demanio marittimo che da tempo hanno perso le
caratteriste della demanialità e della destinazione ai pubblici usi
del mare;
3.	riconoscimento del valore commerciale dell’azienda balneare da
trasformarsi in ristoro a favore del concessionario  nel caso di una
cessione coattiva in favore di terzi;
4.	la modifica dei criteri di determinazione dei canoni demaniali
marittimi ex art 1, comma 251, legge 27 dicembre 2006,  n. 296 che li
renda ragionevoli, equi e sostenibili.
In mancanza di tale normativa l’unica conseguenza sarà un colossale
contenzioso nei confronti dello Stato da parte dei concessionari
costretti a far valere nelle sedi giudiziarie competenti le posizioni
giuridiche di cui sono titolari e che, fra l’altro, comprendono sia il
loro legittimo affidamento nella normativa previgente sia il loro
diritto di proprietà aziendale.

Testo a cura dell’avv. Antonio Capacchione, Vicepresidente Vicario S.I.B.