Con la sentenza del TAR di Firenze nr. 363 dell’8 marzo 2021 abbiamo l’ulteriore conferma (se ce ne fosse stato ancora bisogno) della necessità e urgenza di un intervento chiarificatore del Governo e del Parlamento sulla questione della durata delle concessioni demaniali marittime.
Il Tar fiorentino ha, infatti, accolto il ricorso presentato dall’Antitrust e, in applicazione della cd Direttiva Bolkestein, ha annullato la Determina del Comune di Piombino che avviava l’istruttoria per l’estensione della durata ex lege nr. 145/2018 ad alcune concessioni demaniali marittime.
Si tratta, quindi, di una sentenza di segno diametralmente opposto ad altre come quella del TAR di Lecce nr. 895 del 27 novembre 2020 che aveva al contrario applicato la legge nr.145/2018 chiarendo che non spetta ai Comuni disapplicare una legge nazionale in favore di una Direttiva europea.
Si ricorderà che la sentenza del TAR di Lecce ha già passato un primo vaglio del Consiglio di stato che ha rigettato l’istanza cautelare.
Ma la sentenza del TAR di Firenze è discutibile non tanto perché contrasta con l’orientamento espresso da altri Giudici amministrativi quanto per la debolezza e fragilità delle sue motivazioni.
Si prescinde da ogni considerazione sulle non accolte solide e fondate eccezioni processuali circa la carenza e tardività del ricorso dell’Antitrust per esaminarne il merito.
Si ricorderà che la sentenza della CGUE del 14 luglio 2016 Promoimpresa ha stabilito che l’applicazione della Bolkestein presuppone la “scarsità” della risorsa.
Lo stesso TAR di Firenze è costretto a riconoscere che per la Corte di Giustizia è “rimessa al giudice nazionale la valutazione circa la natura “scarsa” o meno della risorsa naturale attribuita in concessione” (v. punto 2.1 della sentenza)
Orbene il Comune di Piombino dimostra che la risorsa nel suo territorio è tutt’altro che “scarsa” in quanto ci sarebbero ancora liberi e disponibili i 4/5 del litorale (le concessioni impegnano solo 665 mt di “fronte mare” su 2 435 mt.).
Per il TAR di Firenze semplicemente “le spiagge sono beni naturali il cui numero è ontologicamente limitato!”( v. 2.2 della sentenza).
È del tutto evidente che, in questo modo, si viola proprio quanto disposto dalla sentenza Promoimpresa che richiede, per l’applicazione della Bolkestein, che venga accertata la limitatezza della risorsa.
Anche per quanto riguarda il cd “interesse transfrontaliero” la CGUE, dispone che dev’essere accertato nel concreto.
Per il TAR di Firenze, al contrario, tale presupposto si verifica sempre e comunque perché per le spiagge italiane mancherebbero “elementi di specificità tali da concentrare l’interesse a conseguire tali concessioni solo in capo alle imprese stabilite” (v. punto 2.3 della sentenza).
Per non parlare dell’assenza di una proroga automatica e generalizzata nel provvedimento impugnato.
Infatti si eccepisce che viene salvaguardato il principio, sempre stabilito dalla CGUE, di un’applicazione “caso per caso” della proroga che sarà il frutto eventuale di un’istruttoria.
Per il TAR di Firenze “non rilevano le ulteriori vicende esecutive” perché la “determina impugnata sembra riguardare, in modo automatico e generalizzato, senza operare distinzioni, tutte le concessioni in essere” (v. 2.3 della sentenza).
Per cui la si annulla non perché estende la durata delle concessioni in essere ma semplicemente perché “sembra” estenderla!
E si potrebbe continuare con “il legittimo affidamento” che sarebbe riconosciuto solo a chi dimostra di aver fatto investimenti non ammortizzati e non anche a chi invece abbia investito il proprio lavoro e sacrificato l’intera propria famiglia confidando in una legge dello Stato! (v. 2.4 della sentenza).
Una visione sbagliata e aberrante che privilegia il “capitale” invece che il “lavoro”: quanto di più distante dai nostri valori oltre che civili, costituzionali.
Ma ciò che più sconcerta è la questione, centrale, della proprietà aziendale dei concessionari liquidata in maniera frettolosa e superficiale facendo riferimento alla “temporaneità” della concessione e alla “funzione sociale” della proprietà (sic!) in totale spregio del principio giuridico affermato proprio dalla CGUE con la sentenza 28 febbraio 2016 cd Laezza (v. 2.5 della sentenza).
Con l’effetto incomprensibile e irragionevole che ai balneari viene negato ciò che, al contrario è riconosciuto ai concessionari dei giochi!
In definitiva una sentenza fragile e contraddittoria che, ne siamo certi, sarà annullata in appello dal Consiglio di Stato ma che conferma quanto da noi da tempo affermato sulla necessità e urgenza di un intervento chiarificatore del Governo.
Per i balneari “la misura è colma!"
Non saranno tollerati ulteriori rinvii o posizioni dilatorie da parte del Governo e del Parlamento che sono chiamati ad intervenire senza indugio per definitivamente eliminare questo stillicidio nell’interesse del Paese che oggi più che mai ha bisogno dei balneari per la sua ripartenza non solo economica.