Dall’incontro di ieri a Bruxelles sono emersi con chiarezza cinque concetti: il primo è quello che le Organizzazioni sindacali hanno ribadito l’irrinunciabile necessità di salvaguardare il sistema degli stabilimenti balneari italiani attraverso l’esclusione dall’evidenza pubblica delle imprese oggi esistenti.
Il secondo è che la UE, attraverso i propri funzionari, ha ribadito la necessità di rispettare la normativa europea rilanciando al Governo italiano il compito di formulare delle proposte, dichiarando la propria disponibilità a valutare positivamente soluzioni di tutela delle imprese esistenti.
Il terzo che, con eccessiva premura e nessun serio approfondimento, non è stato preso in considerazione quanto illustrato dal prof. avv. Antonio Palma, esperto amministrativista presente all’incontro di Bruxelles, circa l’analogia tra il nostro settore e quello delle concessioni demaniali di acque minerali che ha consentito al commissario Michel Barnier di affermare che queste ultime non sono comprese nella Direttiva Bolkestein.
Il quarto è che le Regioni, le Province e i Comuni hanno con decisione motivato e sostenuto la necessità di trovare una soluzione ad un problema che riguarda non solo 30.000 imprese e 100.000 addetti diretti, ma il futuro e la peculiarità del turismo balneare italiano e dell’economia turistica del territorio.
Da ultimo ci è stato confermato che il Governo italiano non ha preso nessuna iniziativa nei confronti dell’Europa per trovare soluzioni in grado di evitare l’evidenza pubblica. E ciò malgrado gli impegni direttamente assunti da ben due ministri, (Gnudi e Moavero Milanesi), nel corso dell’unico incontro svoltosi a Roma il 23 febbraio scorso. Sono ancora più preoccupanti le recenti dichiarazioni del ministro Gnudi, nel corso dell’audizione presso la Commissione Industria del Senato, il quale ha dato per pronto il decreto legislativo che dovrebbe riscrivere la normativa del ‘regime concessorio’ senza che le imprese - ma ci risulta neanche le Regioni - siano state sentite e soprattutto si sia svolto il benché minimo confronto sul merito. Tutto ciò malgrado, da tempo, chiediamo di poter lavorare a quel tavolo tecnico istituito - e mai convocato - dagli stessi ministri.
Per la nostra categoria tutto questo è inaccettabile. Ed è anche inaccettabile, se non addirittura offensivo, che si sia pensato di ‘appagarci’ con delle promesse (…“visto che siamo usciti dalla procedura d’infrazione e il Governo italiano ha maggior capacità di interlocuzione andremo in Europa a fare delle riflessioni per trovare strumenti di reale tutela delle imprese balneari”…) che, vista la caratura e l’alta responsabilità di chi le ha fatte, oltre alla gravità del problema da risolvere, ci illudevamo fossero veritiere perché ci sembrava di aver capito - ma evidentemente ci eravamo sbagliati - che fosse sufficientemente chiaro il concetto per il quale dietro quelle 30.000 imprese ci sono 30.000 famiglie, oltre 600.000 lavoratori e quindi un gravissimo problema sociale.
Se oggi qualcuno pensa che queste migliaia di persone - e i Sindacati che li rappresentano - non siano abbastanza determinate a difendere fino in fondo, con ogni mezzo, il proprio lavoro e il proprio futuro si sbaglia davvero di grosso.
Lo faremo sia continuando a sostenere con forza, nei confronti del Governo e della UE, le stesse argomentazioni giuridiche che per altri settori sono state ritenute valide, sia mettendo in atto in tutti i litorali italiani e non solo, decise iniziative e manifestazioni di protesta nel corso di questa stagione turistica che saranno certamente adeguate al dramma che stiamo vivendo.