Roma, 20 novembre 2013
Nell’ardente dibattito mediatico e politico accesosi a seguito della cosiddetta ‘vendita delle spiagge’, i soli a cui non è stato concesso manifestare la propria opinione sono stati i diretti interessati, titolari delle 30.000 imprese balneari italiane. Affidiamo, quindi, le nostre osservazioni a questa lettera, puntualizzando che, negli emendamenti "incriminati", nessuno propone o legittima:
• la vendita di tratti di spiaggia ma esclusivamente delle superfici occupate da strutture destinate a fornire i servizi balneari e quelli accessori e che ormai spiaggia non sono più;
• la sanatoria di eventuali abusi perché l’alienazione riguarderebbe le superfici coperte realizzate dietro debita autorizzazione e sulle quali non siano stati realizzati abusi edilizi;
• la selvaggia cementificazione: le leggi lo impediscono e, se i litorali italiani sono stati preservati dall’edilizia selvaggia, è anche grazie a chi ha salvaguardato le coste perché la loro integrità rappresentava il bene più importante della propria azienda;
• un prezzo di favore perché l’alienazione dovrà avvenire “sulla base delle valutazioni correnti di mercato”.
Abbiamo, invece, assistito sulla nostra pelle a una colossale mistificazione di queste proposte e a una palese strumentalizzazione degli importi dei canoni demaniali con l'esito calunnioso di criminalizzare la categoria. In questa sede ribadiamo la nostra disponibilità, espressa da lungo tempo e in ogni sede, a rivedere i meccanismi di calcolo dei canoni per renderli più equi e precisiamo che il canone demaniale costituisce solo una parte del trattamento fiscale complessivo riservato alle nostre imprese che, tra l'altro, comprende:
• l’IVA al 22% invece che al 10% come per tutte le altre imprese turistiche;
• l’IMU che siamo gli unici a dover pagare anche se affittuari e non proprietari;
• la TARES che viene calcolata sull’intera superficie oggetto di concessione (fino alla battigia!).
Altro che “potente lobby di privilegiati”: conferiamo allo Stato ciò che ci viene chiesto e non si tratta di cespiti irrilevanti per attività prettamente stagionali.
Le 30.000 piccole imprese - stabilimenti balneari ma anche alberghi, ristoranti, discoteche, campeggi e altro ancora - nelle quali lavorano 100.000 addetti diretti, meritano rispetto e considerazione e non demagogiche prese di posizione pregiudiziali. Per la sopravvivenza di questo settore chiediamo agli organi competenti un sereno esame delle proposte, tese a far uscire il comparto da anni di strumentali incertezze che hanno causato il blocco degli investimenti, falcidiato le imprese e reso precaria un’attività che, come ogni altra, ha il diritto di guardare con serenità al proprio futuro.