Pensavamo che almeno quest’anno ci fosse risparmiata la consueta campagna infamante e, invece, ci risiamo con la polemica contro i balneari italiani di alcuni, fortunatamente pochi, commentatori e politici.
Sempre quelli e sempre con gli stessi argomenti inesatti e fuorvianti tanto che si sospetta il "copia e incolla" degli interventi degli anni precedenti.
A nulla sono servite le nostre osservazioni degli scorsi anni che il gettito dei canoni demaniali indicato per questi attacchi (103 milioni), non è corretto perché non tiene conto di quello di alcune Regioni (come la Sicilia o il Friuli Venezia Giulia) che incassano al posto dello Stato e che, soprattutto, non comprende le maggiorazioni (che arrivano anche al 100%) incassate dalle Regioni e dai Comuni.
Così come scorretto e truffaldino è fare intendere questo esborso come se fosse l'unica entrata erariale assicurata da queste aziende che, invece, contribuiscono fiscalmente, come tutti, per i redditi prodotti.
Questi esponenti politici, perlopiù di piccolo cabotaggio, si guardano bene dall’evidenziare il trattamento fiscale sfavorevole e grandemente penalizzante al quale sono sottoposti i balneari con, per esempio, l'aliquota IVA più del doppio rispetto a tutte le altre aziende turistiche (22% invece del 10%).
Questi campioni di europeismo a senso unico evitano accuratamente di accennare che ai balneari viene applicata la tassa per la raccolta dei rifiuti anche per tutti i mesi in cui non li producono in spregio proprio al principio di diritto europeo del "chi inquina paghi".
Questi novelli esperti di diritto europeo puntualmente dimenticano di ricordare che la tutela del legittimo affidamento di coloro che hanno confidato su leggi e provvedimenti amministrativi (come nel caso dei balneari) è salvaguardato proprio dal diritto comunitario.
Si cita la sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea sulle concessioni balneari occultando in maniera certosina il punto 56 della stessa che riconosce ai balneari questa tutela che può essere assicurata mediante una ulteriore durata delle concessioni medesime.
Ecco perché poi non riescono a spiegare perché in quasi due anni la Commissione europea ha avviato decine di procedure di infrazione a carico del nostro Paese ma, nonostante le innumerevoli sollecitazioni provenienti da alcuni ben individuati ambienti politici nostrani, non sulla proroga dei 15 anni che, si ricorda, è stata varata nel dicembre 2018 con la legge nr. 145\2018.
Certo non può essere automatica e generalizzata ed è per questo che i Comuni opportunamente effettuano un’apposita istruttoria amministrativa sui requisiti soggettivi prima di concederla.
A tal proposito sarebbe anche opportuno quello che, come è noto, noi invochiamo (purtroppo sinora inutilmente) non un'unica ma una pluralità di scadenze ulteriori delle concessioni per maggiormente aderire al "caso per caso" prescritto da questa sentenza della Curia europea.
Questi alfieri del neoliberalismo puntualmente tralasciano di accennare alla condizione di totale precarietà e incertezza del nostro lavoro completamente dipendente dalle condizioni meteorologiche.
Per costoro è un dettaglio insignificante che la frequenza sulle nostre spiagge (specie quest'anno) si concentra il fine settimana per cui salta l'incasso del lavoro di un'intera settimana se la domenica c'è cattivo tempo per pioggia o vento (come sta accadendo purtroppo in questo periodo).
Vani tutti i nostri tentativi degli anni scorsi di ottenere precisazioni e rettifiche a dimostrazione della cattiva fede di alcuni di costoro a cui piace descriverci perfidamente come capitani d'industria dai forzieri ricolmi nel mentre chi frequenta i nostri stabilimenti balneari si trova di fronte a onesti lavoratori impegnati (spesso con tutti i componenti delle loro famiglie) da prima dell'alba a dopo il tramonto per assicurare una giornata serena e sicura a tutti.
In definitiva se si continua in queste polemiche stucchevoli dopo anni in cui ripetiamo queste considerazioni sorge legittimo il sospetto che alcuni dei nostri critici non siano semplicemente disinformati ma dolosamente intenti a demolire e mortificare un intero settore fiore all'occhiello del nostro Made in Italy.
Senza incorrere in facile complottismo sorge legittimo il sospetto che qualcuno, scientemente o inconsapevolmente, intende favorire la sostituzione di 30 mila aziende familiari con il grande capitale finanziario così come è stato fatto con i negozi di vicinato distrutti dalla grande distribuzione con la conseguente desertificazione sociale.
Si sappia che noi non lo permetteremo con tutte le nostre forze perché fermamente convinti che difendendo le nostre aziende e il nostro lavoro tuteliamo la competitività del nostro Paese.
Infatti, nei servizi alla persona c'è bisogno non del grande capitale ma del calore, confidenza e affabilità garantite proprio dalle nostre piccole aziende a conduzione familiare.
Per cui si rassegnino questi nostri storici critici: i balneari italiani trovano la loro forza non nell’essere lobby ma esclusivamente nella solidità delle loro ragioni.